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Terremoto di Messina e Reggio Calabria

Salvati da un profondo sguardo d’amore.

Ferruccio Formentini

Era quasi l’alba del 28 dicembre del 1908 quando tra Scilla e Cariddi (nomi profetici) si scatenò un maremoto provocato da un potentissimo terremoto che in pochi istanti devastarono la calabrese Reggio e la dirimpettai siciliana Messina. Due città che si specchiano nello stesso stretto marino che, unendo lo Ionio al Tirreno, le separa facendo nel contempo della Sicilia un’isola. Due importanti centri urbani e due comunità così vicini, così simili eppure così tanto lontani e così diversi. La Calabria bellissima ma anche durissima e impervia non è mai stata una regione facile e aperta al visitatore tanto che fin dai tempi antichi chi dallo “stivale” deve recarsi in Sicilia trova più agevole saltare le terre calabresi, ieri imbarcandosi a Napoli per sbarcare sull’isola oggi addirittura con un comodo aereo. Sarà forse per l’antica ritrosia che rendeva quelle contrade misteriose e perfino pericolose, sarà per le difficoltà nei collegamenti stradali mai superati, sarà perché gli storici ma anche i cartografi spesso si lasciano andare ad improvvisazioni fantasiose non sempre veritiere, fatto sta che tutto ciò che di notevole riguarda quel braccio di mare, sovente capriccioso e pericoloso fin dai tempi di Omero, viene riportato come “di Messina”. Insomma si passa dallo stretto di Messina al terremoto di Messina e c’è già chi parla del ponte di Messina.

A ben vedere i calabresi avrebbero più che un motivo per lamentarsi. E così per rimediare, ci rendiamo conto ovviamente in piccolissima parte, raccontiamo un episodio che riguarda Reggio Calabria e che i libri di storia ignorano.


Correva l’anno 1543 e i francesi a Tolone avevano organizzato un incontro al vertice tra grandi ammiragli che controllavano il Mediterraneo con l’intenzione di portare pace in questo mare devastato da una interminabile guerra tra l’impero Ottomano che tentava di sfondare verso occidente, con l’aiuto dei corsari al servizio del Sultano, manovra a cui si opponeva l’Impero spagnolo alleato con Venezia, Genova, e con il Papa. Tutti i grandi si erano messi in mare alla volta del porto di Tolone alla testa di agguerrite flotte. Evidentemente la fiducia reciproca dopo decenni di tranelli, agguati, tradimenti e soprattutto massacri, era quello che era…..scarsissima.




Grande ammiraglio della potentissima flotta corsara con base ad Algeri era il pascià d’Algeri Khair-Eddyn (Bene della Religione) meglio noto con il nome di battaglia Barbarossa.Khair-Eddyn grande stratega ma anche vero uomo di stato proveniva, come tutti i corsari al servizio del Sultano, dalla pirateria e quindi non gli facevano difetto coraggio, crudeltà, avidità. Le flotte corsare erano composte soprattutto da velocissime galere da combattimento, spinte da oltre un paio di centinai di rematori, che però male affrontavano le burrasche e quindi navigavano prevalentemente bordeggiando. La rotta da Algeri verso Tolone prevedeva quindi l’attraversamento dello stretto di Messina.






Per rifornire la cambusa, non lasciare inattiva la ciurma, e procurare un po’ di bottino, di tanto in tanto, lungo l’interminabile tragitto la flotta sostava per saccheggiare qualche cittadina marinara scelta a caso. Appena da Siracusa giunge la notizia che le navi del Barbarossa sono dirette verso lo stretto a Reggio Calabria e a Messina si sparge il panico e nelle due città si apprestano, non senza timore, le difese. Giunto di fronte a Reggio Calabria, il corsaro ritiene venuto il momento per sgranchirsi le gambe e menare le mani. Per i corsari lavoro di routine. In meno che non si dica espugnano la cittadella e mettono a tacere qualunque difesa. Intanto i messinesi, mentre tiravano in sospirone di sollievo per essere stati risparmiati dalla scelta del corsaro, guardavano altrove per non essere tentati dal dover soccorrere i malcapitati.
La ciurma corsara era in trepidante attesa dell’ordine per il saccheggio e il massacro quando lo sguardo terribile del loro sanguinario capo incontra i grandi occhi profondi di una fanciulla appena tredicenne, Donna Maria, la figlia del governatore spagnolo. Dentro a questi occhioni tremanti l’anziano corsaro ci si perde irrimediabilmente e perdutamente s’innamora. Riparte con il suo amore dopo aver risparmiato Reggio e i suoi abitanti.

I due piccioncini consumeranno a Tolone la luna di miele dove Khair-Eddyn, per fare sempre più colpo sulla sua giovanissima amata, si esibirà in tali e tanti capricci da spingere gli alleati e ospiti francesi sull’orlo di una crisi di nervi. Sotto la dura scorza, che gli permetteva di superare qualunque esperienza senza lesinare in crudeltà e freddezza, batteva anche il cuore di un tenerone, romantico e sentimentale. Il colpo di fulmine si rivelò reciproco. La poco più che bambina Donna Maria lo seguirà dovunque innamorata e fedele. I due ebbero un figlio, Hassan. Khair-Eddyn morirà tre anni più tardi tra le braccia di Donna Maria.

Ma fu solo grazie ad una romantica storia d’amare che Reggio Calabria e i suoi abitanti si salvarono dalla distruzione.
Ahiloro nel 1908 non ci sarà uno sguardo benevolo a salvarli, ma solo l’aiuto dei soccorritori a disastro avvenuto.