Intervista a Mario Belati
di Ruggiero Capone


Economista, esperto di tecnica bancaria, già dirigente ai massimi livelli dello Stato, Mario Belati potrebbe apparire come il classico uomo di libri, eternamente in giacca e cravatta e senza frivolezze. Ma l’uomo austero ha un suo debole, le auto d’epoca.E questo amore, a cui dedica il tempo libero, lo ha motivato in questa impresa via Internet. Nell’intervista ho raccolto gli aspetti umani, davvero inaspettati, che si celano tra le lamiere.

Ho visto il sito "Un auto, una storia, tante storie".

Cosa fa germogliare la passione per auto da competizione e storiche, è collegata necessariamente ad un passato sportivo, ad ver provato il brivido della pista?

Questa passione raramente è collegabile a vittorie in pista o ad avere tanti quattrini da potersi permettere vetture costosissime. Si tratta d’un qualcosa che soprattutto ha folgorato chi era ragazzo negli anni del boom economico.
Quando in Italia ci si fermava per guardare che modifiche aveva apportato il vicino di casa alla propria 600 Fiat, oppure si godeva del solo contemplare una Giulietta Sprint parcheggiata nei pressi d’un bar, come d’un autosalone.
Erano i sogni di noi italiani, gente a cui premeva lavorare, guadagnare e, con qualche sacrificio, poter girare in auto. E poichè vedevamo che nei film le auto le avevano tutti, anche noi non si voleva essere da meno.
Io, per esempio, sono stato iniziato da ragazzino alla passione per le automobili e le competizioni. E perché mio padre seguiva nel tempo libero questo mondo, acquistava le riviste e mi coinvolgeva raccontandomi storie di mitici piloti e di corse degli anni tra le due Guerre mondiali.
Gente che con una pinza ed un cacciavite era capace di ripartire nelle situazioni più disperate.
Oggi quel mondo non esiste più nelle competizioni, siamo nell’epoca del computer di bordo.
Ma tra gli appassionati d’auto d’epoca si cerca di far sopravvivere l’era mitologica delle quattro ruote.

Il battesimo di fuoco?

A 6 anni mio padre mi ha portato a vedere il Giro dell’Umbria. Del Giro dell’Umbria m’è rimasta indelebilmente impressa la Maserati 2000 Sport di Luigi Musso. Ancora conservo una foto con dedica di Castellotti. Poi ho iniziato ad abbeverarmi alla fonte dei grandi giornali dell’automobilismo italiano, come Quattroruote e, soprattutto, ricordo che da ragazzino correvo in edicola per comprare l’Auto Italiana. Essì, il primo giornale che ho comprato con i miei soldi è stato l’Auto Italiana, il numero che presentava la Ferrari 250 GTE con i primi freni a disco.

Ma quale auto rimarrà nel suo Olimpo?

L’auto dei miei sogni è sempre stata la Bizzarrini Strada 5300: una carrozzeria con delle curve al femminile. Ma l’auto che ricordo bene è la Giulia Ti super del Jolly Club, quella di De Adamich.

Di auto da sogno ne ricordo più d’una.
Come la Giulia TZ 2, che rimane per il design e le innovazioni telaistiche la vettura con cui Zagato ha rivoluzionato tecnicamente la carrozzeria della prima TZ.
Nel novembre 2006 ne ho vista una nella collezione di un mio amico italo americano, con lei correva Teodoro Zeccoli, ed è stato un colpo al cuore!
Nella stessa collezione ho visto una 33 stradale, un simbolo dello stile del disegnatore Scaglione: tuttora conservo le foto che scattai a Susy Raganelli, figlia del proprietario della concessionaria Alfa Romeo di Roma, mentre girava per Roma con la sua 33 stradale. Ma qualche sogno l’ho realizzato.
Nel 1975 ho acquistato la tanto amata Giulietta spider, naturalmente usata, ed ho persino mantenuto la targhetta della concessionaria Raganelli, con l’indirizzo dell’autosalone in Piazza Montecitorio, sì proprio di fonte al palazzo del Parlamento. Ed è ancora nel mio garage.

L’auto rimpianta?

M’è sfuggita una Aston Martin DB4 Zagato, che per me è un modello che sintetizza proporzioni ed aggressività: un vero felino gigante. Purtroppo un signore è stato più lesto di me nell’acquistarla. Anche se devo dire che le stesse sensazioni le trovo nella Giulietta spider.

Quanta emozione provò per aver acquistato la Giulietta spider?

Tantissima. Ricordo che quando la ritirai era il 1975, l’auto era del 1961, e di appassionati d’auto d’epoca ve ne erano ancora pochissimi. Subito mi dissi che se non l’avessi restaurata o se non avessi più deciso d’usarla, l’avrei comunque trasformata in una scultura, in un oggetto da esporre in casa. Tale rimane questa auto.
Un’opera d’arte nei perfetti canoni novecenteschi, quindi l’avrei messa in salotto. La Giulietta è di gran lunga più aggraziata della sua progenitrice stilistica, l’Aurelia B 24 della Lancia: entrambe nate dal design di Pininfarina, ed a nemmeno due anni di distanza l’una dall’altra.
Nella Giulietta vennero riproposti e migliorati tutti gli aspetti stilistici sperimentati sull’Aurelia. Pininfarina lavorava allora per quasi tutte le case automobilistiche italiane, ed infondeva il suo stile del momento in ogni modello. Ora per il pubblico quasi si identifica con il mito Ferrari, cioè quello che per gli sportivi dell’epoca succedeva con il carrozziere Scaglietti di Modena che vestiva le Sport del Cavallino.

In genere chi ama contemplare le belle carrozzerie teme di poterle distruggere nelle competizioni?

Ci sono auto per correre ed auto per sognare, ed in certi casi e periodi le due cose si fondono. Le corse hanno rappresentato negli anni '50 e '60 la passione che coinvolgeva tutti gli italiani, al pari del calcio di oggi. In quegli anni l’automobilismo era molto meno elitario. Le vetture correvano su circuiti cittadini, ed i piloti erano davvero tanti, ed io ero stato più volte sul punto di farmi un’auto da corsa.
A differenza di oggi, cinquant’anni fa ci volevano in proporzione molti meno quattrini per correre. Ma oggi seguire le metodiche dei corridori degli anni 50 sarebbe improponibile, quanto meno ridicolo ed anacronistico. I piloti erano davvero tuttofare, ne capivano di meccanica, di carrozzeria, di impianti elettrici, ed erano capaci di ripartire con un cacciavite ed una pinza. Una filosofia che oggi è inapplicabile, che sopravvive solo nelle competizioni di vetture d’epoca.

Ma poi l’auto da corsa l’ha acquistata?

Sì. Ero iscritto alla Scuderia Jolly Club di Milano, che in quegli anni iniziava una prestigiosa avventura con le auto Lancia. Ed ho comperato la prima vera auto sportiva derivata dalla produzione di serie con cui la Lancia tornava alle competizioni dopo i successi dell’Aurelia: la Flavia HF, auto molto difficile.
Un’auto realizzata in 25 esemplari, alleggeriti ed elaborati da Bosato, che ha partecipato alle grandi corse di durata, 12 e 24 ore, con Frescobaldi, Cella ed altri piloti gentleman dell’epoca.


Dopo un incidente me ne sono dovuto liberare a malincuore per passare ad una più maneggevole Fulvia HF.

Ma la Flavia ancor oggi mi guarda, quando percorrendo la strada che mi porta nella mia Umbria, le sfreccio davanti con auto nuove o con l’amata Giulietta.

La Flavia, suo malgrado, ancora resiste, anche se non può dirsi gelosa. E’ stata spogliata d’ogni suo gioiello meccanico e degli interni, funge da gallinaio d’un contadino che l’ha recuperata in un qualche modo bizzarro. Dato l’addio al mondo delle corse, ho dovuto pensare solo a lavorare, ed in banca. Ma l’idea di libertà che poteva offrirmi solo una corsa in spider, ogni tanto faceva capolino nella mia mente. Tra le grigie scrivanie la fantasia mi rallegrava col pensiero che un giorno avrei restaurato un’auto dei miei sogni, mi sarei goduto le strade della mia gioventù.

Oggi con questo sito cerco d’unire tutti quelli che questa passione per le lamiere l’hanno veramente. E che di storie più belle della mia ne hanno tante. E si sa che l’amore fuggito o sparito conserva sempre un’aurea fatata.

Quindi invito i lettori a darci sotto con i racconti. Fitti d’emozioni, d’estatiche nostalgie, comunque degni di quel sogno futurista che ha segnato il secolo breve, il ’900.